Buio – pt. 7

Che differenza c’è? Che cosa cambia?

Me lo chiedo mentre mi avvicino sempre più al Mare prigioniero della luce.
Le mie bracciate si alternano quasi agili, sebbene tempo e ossigeno, ora che le leggi tornano a valere, inizino a pressare.
Le braccia che scandagliavano, invece, sembrano ora meno attive e pronte, meno frenetiche.
Che cosa separa i due finali?

Quasi mi vedo, là in fondo.
Senza vita, accovacciato quasi dormiente, la testa appoggiata sulle ginocchia in una calma senza turbamento né colore, grigia.
E penso: “potrei essere quello, ora”.
Invece no, sto qua e nuoto, le gambe che vanno su e giù quasi per inerzia.

Non capisco, sinceramente.
Oppure semplicemente ancora una volta non accetto che sia il Caso a governare tutto.
Possibile che non ci sia nulla di spiegabile a separare i due destini?
Possibile che debba anch’io rimanere appeso a un lampo?
Basta con le scintille, qua serve logica.
Cosa fa scattare tutto, che si nasconde dietro al cambiamento, alla discontinuità repentina?

Non lo so, non mi è chiaro.
Per ora devo accontentarmi del fatto che accade e basta.
Succede, fine.
Un momento è così, quello dopo è l’opposto.
Affondo per ore e poi improvvisamente lei vibra, guida la riscossa.
Insopportabile, io voglio sapere.
Vorrei perfino imparare, arrivo a tanto. Invece no, devo accettare senza obiezioni.
Se solo potessi.
Vorrebbe dire accettare che nella mente dell’ipotetico suicida, che progetta per giorni con minuzia tutti i dettagli, improvvisamente scatti l’impulso a far girare la mano, a puntare la pistola al sopracciglio e non alla tempia.
Dovrei accettare che lo stesso suicida (o magari un altro, è più realistico), dopo essersi caricato un masso improbabile ed averlo legato con sapienza alla caviglia, decida di liberarsi di colpo mentre affoga, trovando la forza di muovere il piede con la destrezza giusta per sciogliersi e rimontare sul pontile.
Che poi sarebbe lo stesso Caso ingovernabile per cui di milioni di sguardi solo uno ti rapisce e diventa la tua droga.
No, basta, non posso. Non ci sto.
C’è qualcosa sotto e voi Esseri me lo nascondete, tutti.

Se poi penso al vostro chiamare tutto ciò lunaticità, beh, allora m’infurio proprio.
Ma come? La Luna? Ma l’avete mai vista voi la Luna? La cosa più regolare del mondo.
Non solo è bianca e tonda, dolce, ma si muove lenta, la sua luce varia graduale, prevedibile, alterna le sua fasi senza sorprese, senza alcuno scatto di pazzia.
E dovrei rivedere in quello il mio schizzare? No, neanche voi avete capito molto.

Non lo so, non lo so. Forse rimarrò a pensarci per sempre.
Scuoto la testa in un “no” silente persino mentre nuoto, rallentandomi.
Non solo voglio sapere, ne ho bisogno.
Devo capire se è qualcosa in me o al di fuori di me, se è una mia risorsa o se devo ringraziare qualcosa, qualcuno.
Non è tanto l’essermi risvegliato che mi preoccupa ora, capite? Anche nel finale peggiore ho aperto gli occhi, dopotutto.
È il mio stato a preoccuparmi, così lontano da quello passato.
Ha vibrato e adesso è tutto lontano.
Un movimento così breve e intenso separa le due opposte realtà.

Forse è questione di rimbalzi.
Forse a invertire il verso del moto è la stessa forza, non si tratta di qualcosa di nuovo e contrario, è frutto del modo in cui si cade.
La palla scagliata forte verso terra poi salta in alto, viva, continua a balzellare per un po’ in cerca di un rilancio; quella buttata tanto per, da sotto in su, che ricade solo per gravità, lei rimbalzerà bassa, non invita a farsi rincorrere, non ama staccarsi da terra, rotola via lenta.
Allo stesso modo io – ma non solo io, stavolta l’unicità non c’entra – cadevo in un modo che non poteva non contemplare la brusca inversione.
Perché il mio udito era attivo, capite?
Perché ero in attesa di quella vibrazione.
Perché la violenza e la velocità con cui scendevo erano conseguenza di un tuffo poderoso, la cui energia latente poteva servire ancora a un solo scopo: risalire.
La sensibilità, la ricerca di un appiglio, in fondo, non sono mai venute meno.
Non ho mai smesso di aspettare quella musica e quella voce, ecco perché. E prima o poi sarebbe successo, sarei ripartito, fine. In qualunque momento avessi deciso, quello sarebbe stato il fondo.
La differenza è fra chi lascia uno spiraglio e chi li chiude tutti, fra chi punta alla tempia e chi la canna se la infila dritto in gola, vincendo la probabilità di sbagliare.

E tuttavia di questa spiegazione, per niente esauriente, più salgo e meno m’importa.
Voglio solo aria, adesso.
Ormai del Sole non vedo solo i raggi rifratti nell’acqua, ne vedo l’immagine e ne sento il calore, mancano pochi centimetri.
L’ultima bracciata me la faccio a delfino, ho deciso.
E posso confessarvi una cosa? Tanto ormai siamo in confidenza.
Li odio, io, i delfini.


[F.O.]

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