Europeismo didattico

Il 4 novembre del 1950 a Roma veniva firmata la Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, oggi più nota come Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

L’organismo a cui si deve la nascita della Convenzione è il Consiglio d’Europa, di cui fino a prima di gennaio facevano parte 47 stati, dalla Spagna alla Russia passando per la Turchia e l’Ucraina. Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia non ne fa più parte.

Ma cos’è il Consiglio dell’Europa?

Attenzione, non a niente a che vedere con l’Unione Europea (come si intuisce appunto dal numero più elevato di aderenti). Certo, i simboli non aiutano a fare la differenza: il Consiglio d’Europa e l’UE condividono la stessa bandiera (a fondo blu con dodici stelle dorate) e lo stesso inno, dalla nona di Beethoven, l’Inno alla gioia.

Le due entità, tuttavia, sono estremamente diverse per funzioni e obiettivi. Mentre l’UE è un club ristretto nato sulla base di un interesse economico comune (vedi la CECA), il Consiglio d’Europa vuole invece essere un foro allargato di cooperazione tra molteplici stati, con l’obiettivo principale di un’evoluzione sui temi dei diritti dell’uomo.

Ed è proprio da questo foro allargato che è nata la CEDU, un testo condiviso da stati diversissimi tra loro, ma che ha l’ambizione di rendere comune la protezione dei diritti fondamentali dell’uomo. La Convenzione è a tutti gli effetti un documento giuridico che lega i firmatari al rispetto degli articoli, e che li sottopone al controllo di un giudice comune: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (anche in questo caso, CEDU).

Il controllo della Corte è estremamente complesso, perché si trova nella delicata posizione di dover giudicare le azioni di Stati sovrani, su temi spesso politici, quindi scomodi, e attinenti ai diritti dell’uomo.

Tutto chiaro quindi, almeno in teoria.

Ma in pratica, come funziona tutto ciò? Esiste davvero questa Corte che controlla gli stati? E dove sarebbe?

Si, esiste, sta a Strasburgo ed è stata ad esempio molto utile ai signori Fox, Campbell e Hartley [CEDU, 30 agosto 1990, n°12244/86, 12245/86, 12383/86, Fox, Campbell et Hartley c/Regno Unito] per tutelare la loro libertà contro il Regno Unito grazie all’articolo 5 della CEDU.

L’articolo 5 comma 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo dispone infatti:

“Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge”.

Seguono quindi elencati una serie di situazioni nelle quali il diritto alla libertà della persona viene meno tipo in caso di detenzione a seguito di una condanna emessa da un’autorità competente, o ancora in caso di detenzione per evitare la trasmissione di una malattia contagiosa.

Ad ogni modo, quello che interessa in questo caso è l’analisi del principio da cui nasce l’articolo, ma soprattutto del suo temperamento. Il principio, semplificando, consiste nel fatto che la libertà deve essere garantita a tutti, il temperamento è che la legge può disporre diversamente se lo ritiene necessario.

Ora il problema è che la legge appartiene allo Stato, mentre l’ambizione della CEDU è quella di garantire nel modo più universale possibile i diritti dell’uomo. In altre parole, se uno stato qualunque domani decidesse che uscire di casa è illegale senza portare un cappello, sarà per questo legittimato ad arrestare tutti coloro che escono senza?

È una legge, certo, ma è una legge legittima?

Ecco, qui sta tutta la difficoltà del controllo della Corte Europea: come operare un controllo imparziale ed efficace sulle regole, o sulle detenzioni imposte da uno stato sovrano?

Nei fatti riguardanti i tre citati prima, Bernard Fox, Maire Campbell (marito e moglie) e Samuel Hartley erano stati arrestati dalla polizia del Regno Unito in Irlanda del Nord perché sospettati di fare parte dell’Armata Repubblicana Irlandese provvisoria (I.R.A. provvisoria) e di aver partecipato ad alcuni atti di terrorismo.

Dopo essere stati detenuti per alcune ore, circa 44 per i coniugi e circa 33 per la terza persona, vengono rilasciati senza alcuna accusa. I tre si rivolgono quindi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo accusando il Regno Unito di aver violato l’articolo 5 della CEDU.

Con un giudizio non all’unanimità ma comunque maggioritario, la Corte ha dato ragione ai tre cittadini e torto al Regno Unito. In particolare, la Corte ha ricordato che uno degli elementi essenziali della protezione offerta dall’articolo 5 comma 1 è il controllo della “plausibilità” dei motivi su cui è basata la detenzione; nei fatti accaduti, i sospetti nutriti dalla polizia circa la partecipazione dei detenuti in attività terroristiche non sono stati reputati sufficientemente plausibili dai giudici.

La privazione di libertà era stata quindi arbitraria e illegale.

È un risultato molto importante e carico di significato

Vuol dire, se ci pensate, che da qualche parte, lì fuori, esiste un testo condiviso da milioni di persone che protegge i nostri diritti.

Ed esiste un giudice, che io immagino con una toga lunga ed una barba bianca, che ha come compito di far rispettare questi diritti anche contro il nostro stesso stato se ce ne fosse bisogno.

Non so a voi, ma a me fa dormire meglio.  


[M.M.]

Featured image:
Fatinha Ramos,
Human Rights – Amnesty International

Fonti:

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