Vi siete mai posti la domanda sullo specifico del nostro essere umani?
Che cosa ci caratterizza in quanto esseri umani?
Si può rispondere indicando alcune particolarità fisiche quali la statura eretta, la neocorteccia, il patrimonio genetico di circa ventimila geni.
Oppure si può rimandare alle proprietà intellettuali che ci rendono capaci di analisi e sintesi, di acquisire conoscenze mediante l’intelletto e di produrre significati mediante la ragione, due facoltà non sempre unite.
Lo specifico umano si può anche rintracciare nei sentimenti e sostenere che quanto ci rende veramente umani è la particolare energia che deriva dal cuore, dalla cui attivazione dipendono quelle disposizioni che sole meritano la piena qualifica di umane quali l’amore, l’amicizia, la benevolenza.
Io penso che lo specifico umano consista in qualcosa di ancora diverso: cioè nella nostra possibilità di essere e insieme di non essere il nostro corpo, il nostro intelletto, la nostra ragione, il nostro sentimento.
Questa possibilità di identificarci con le nostre peculiarità e insieme di prenderne le distanze, questa possibilità di identità e di differenza, è possibile grazie a uno spazio vuoto dentro di noi.
“Spazio vuoto” in greco antico si dice cháos
Termine che originariamente significa “cavità”, “voragine”, “baratro”, “abisso”.
È questo spazio vuoto dentro di noi a rendere possibile la libertà, intesa anzitutto come indeterminazione e quindi la possibilità di scelta.
Noi siamo quell’essere così ambiguo e imprevedibile, capace del male più efferato e del bene più gratuito, perché dentro di noi c’è uno spazio vuoto che ci consente di essere e al contempo di non essere ciò che siamo fisicamente, intellettualmente, sentimentalmente.
Noi siamo il nostro corpo e insieme non lo siamo, con esso sperimentiamo momenti di perfetta identificazione ma anche di completa estraneità, soprattutto nel caso delle malattie.
Lo stesso vale per le nostre conoscenze, le nostre idee, i nostri sentimenti, senza i quali non saremmo ciò che siamo, ma da cui possiamo prendere la distanza e cambiarli.
E cambiare.
Piccoli passi quotidiani verso la costruzione del senso
Se il senso proviene dal consenso, il consenso bisogna costruirlo.
E lo si deve fare quotidianamente, giorno dopo giorno, mediante una politica di piccoli gesti che ci conducono a capire e ad amare la misteriosa e insieme dolorosa poesia della vita.
Respirare, imparare a respirare: respirare lentamente e diventare consapevole del respiro.
Mangiare, imparare a mangiare: masticare lentamente e diventare consapevole del cibo.
Vedere, imparare a vedere.
Guardare, imparare a guardare.
Coltivare uno sguardo retto, che si posa sulle cose e sulle persone con rettitudine.
Sentire, provare sensazioni: ogni concetto deve essere sensato, cioè provenire dai sensi.
Rispetto, riverenza.
Simpatia, sinergia.
Coltivare l’arte della comunità e della comunicazione.
Sorridere, sorridere anche quando non c’è motivo per farlo. Il motivo arriverà.
Leggere, studiare.
Leggere sempre con l’evidenziatore in mano, sottolineare.
Sottolineare poco, solo le cose essenziali. A volte usare due colori.
Fare una piega a una pagina da ricordare.
Rileggere.
Trascrivere le cose più importanti.
Riflettere.
Cercare collegamenti.
Fare silenzio.
Meditare.
Scrivere appunti, tenere un diario, scrivere lettere.
Ascoltare.
Ricordare, rammentare.
Imparare a memoria.
Contemplare.
Condurre con ordine i pensieri.
Fare attenzione al linguaggio, proprio e altrui.
Fare attenzione al tono di voce, proprio e altrui.
Dialogare, discutere, esporsi alla confutazione.
Non voler vincere né convincere.
Nella vita del pensiero essere sempre sinceri, non mentire mai.
Distinguere le bugie (talora necessarie nella quotidianità) dalla menzogna.
Detestare l’arte di ottenere sempre ragione.
Detestare l’utilizzo del pensiero come arma.
Istituire la mente come una bilancia.
Chiedersi il valore della tesi avversa e rispettarla.
Capire chi è il tuo avversario.
Distinguere l’avversario dal nemico.
Avere avversari, non avere nemici.
Allargare l’anima, fare spazio a tutte le idee, non temerne nessuna, indagarle tutte.
Diventare non-violento anzitutto nelle emozioni e nel pensiero.
Diventare consapevole dei sentimenti.
Dirsi: mi sto arrabbiando, mi sto impaurendo, mi sto rallegrando. Sto cambiando.
Non vergognarsi di piangere, accettare le lacrime come un dono.
Non esibire le lacrime, custodirle come la cosa più intima.
Camminare nella natura.
Trasformare la personalità, mirare alla conversione.
Fare attenzione al valore infinito di ogni istante.
Avere una regola di vita.
Attenzione, vigilanza.
Apertura mentale.
Riso, sorriso, mezzo sorriso, coltivare il senso dell’umorismo.
Esercizi corporei.
Esercizi spirituali.
Privilegiare la via della bellezza.
Non scegliere la via più breve, scegliere la via più bella.
Partire prima se è il caso: il tempo dedicato alla bellezza è il miglior investimento.
Fare attenzione all’assonanza abito-abitazione-abitudine.
Sapere che gli abiti e l’abitazione divengono la propria abitudine.
Curare il proprio abbigliamento, non per lo sguardo altrui, ma per onorare il proprio corpo e la propria anima.
Amare la propria abitazione. Qualunque sia e dovunque sia, finché la si abita, amarla.
Liberarla dagli oggetti superflui.
Arredarla con la luce.
Apparecchiare con cura la tavola.
Avere spesso dei fiori.
Vivere con le piante come compagne di vita.
Poche cose, non accumulare: il tanto minaccia la bellezza, il troppo la soffoca.
Ricordarsi che la bellezza vive della misura.
Circondarsi di persone belle.
Se non si trovano, non temere la solitudine.
Poche persone, non accumulare: il tanto minaccia la bellezza, il troppo la soffoca.
Ricordarsi che la bellezza umana vive della misura.
Riguardo alla musica, non voler essere alla moda.
Ascoltare la musica più bella, nella quale il ritmo e le parole sono al servizio dell’armonia.
Educare il gusto naturale, ma non forzarlo.
Evolvere, ma non rendersi artificiali.
Dedicare alla musica la qualità più alta dell’attenzione.
Riguardo all’arte, non voler essere alla moda.
Non mentire dicendo che un’opera piace solo perché tutti ne parlano: non mentire mai.
Educare il gusto naturale senza forzarlo.
Evolvere senza rendersi artificiali.
Amare gli antichi, i moderni, i contemporanei: amare gli artisti sinceri e devoti alla bellezza.
In ogni situazione, anche la più noiosa, ricercare la bellezza.
Nel traffico, in fila, in una sala d’attesa… cercare con gli occhi qualcosa di bello e soffermarvisi.
Custodire la bellezza del mondo. Pulire, ripulire, ordinare, riordinare.
Ricordarsi che anche solo una carta buttata per terra diminuisce la bellezza del mondo e sporca la propria interiorità.
Curare la bellezza fisica.
Non per lo sguardo altrui, ma per celebrare il proprio esserci.
Constatare la bruttezza, ma non farsene ferire: il sentimento non diventi mai risentimento.
Accogliere anche le cose brutte del mondo: disporle accanto alle proprie cose brutte.
Impegnarsi a tradurre anche in estetica il comandamento evangelico di amare i nemici.
Favorire quanto più è possibile l’armonia, che è il sigillo della bellezza.
Amare lo Spirito. Invocarlo instancabilmente.
Lo Spirito, che è signore e dà la vira, vivifica anche la bellezza.
Riconoscere la vera bellezza dal fatto che rende più autentici e più naturali.
Ricordarsi sempre che la via della bellezza è la via della salvezza.
[F.O.]
Adattato da: Vito Mancuso,
A proposito del senso della vita (Garzanti, 2021).