Oggi, domani e dopodomani, Movimento 5 Stelle e Lega votano per ratificare il “contratto di governo” scritto dai due partiti (qui la prima bozza, qui la seconda, qui la versione definitiva). Non è il primo contratto che gli italiani vengono invitati a firmare (vedi qui), anche se qualcuno ha azzardato paralleli con programmi molto lontani nel tempo (vedi qui).
Ad oggi rimangono ancora tanti interrogativi. Chissà se saranno due plebisciti (aggiornamento: quello del M5S lo è stato), chissà se alla fine si riuscirà davvero ad arrivare a un Governo (Berlusconi sta già cambiando idea). Quello che è sicuro, intanto, è che nel contratto ci sono tante cattive notizie, svariati segnali di inadeguatezza alla sfida, e solo qualche piccola buona notizia.
Le notizie cattive
1. Verso un fisco debole e regressivo
Sulle tasse il M5S ha dato campo libero alla Lega (!). La flat tax al 15-20% comporta un sistema fiscale che rinuncia all’idea di progressività e redistribuzione e che, in caso di attuazione, richiederà drastici tagli al welfare (fonte; vedi anche qui, qui e qui). L’austerità post-crisi, in confronto, sembrerà una passeggiata. Insomma, un intervento diretto a favore dei più ricchi, e un cavallo di Troia per sovvertire la natura del sistema sociale.
Accanto a questo, la linea salviniana della “pace fiscale” (leggasi: condono) garantirà un’amministrazione tributaria più debole, in contraddizione sia con la letteratura sull’evasione – che ci dice chiaramente: maggiori sorveglianza e probabilità di essere scoperti = minore evasione (vedi qui e qui, ad esempio) –, sia con la retorica grillina del “carcere vero” per gli evasori (p. 21). La guerra è pace.
Da ultimo, l’enfasi sulla riduzione delle accise sulla benzina (p. 19) contrasta sia con la sostenibilità dei conti pubblici, sia – soprattutto – con tutte le proposte in favore dell’ambiente e della mobilità sostenibile (made in M5S). “Chi inquina paga”, scrivono, citando l’UE. Ma non se inquina in automobile.
2. Cara, è scomparso il Sud
Uno dei temi più importanti per il Paese – quello del divario territoriale, del dualismo Nord-Sud, della disuguaglianza più annosa – è impalpabile all’interno del contratto (vedi anche qui). 76 parole in tutto, in nome del fatto che “tutte le scelte politiche previste dal contratto […] sono orientate dalla convinzione verso uno sviluppo economico omogeneo per il Paese” (p. 49).
Ancora una volta vince la linea della Lega, in barba ai quasi 5 milioni di voti che il M5S ha raccolto tra Sud e Isole (fonte). I problemi importanti possono aspettare.
3. Addio accoglienza e integrazione
Nel capitolo Immigrazione, le posizioni di M5S e Lega sembrano invece trovare la sintesi che tutti avevano previsto. L’enfasi è tutta sulla riduzione dei flussi migratori (come si fa? più campi di concentramento à la Minniti?), sui rimpatri – anche per i richiedenti asilo, in barba al concetto stesso di asilo –, e sulla lotta al terrorismo. Sui rimpatri, in particolare, l’intenzione è esplicita: le risorse si prendono prima di tutto dai fondi per l’accoglienza (p. 28).
Il collegato disposto col capitolo Sicurezza, poi – “gli occupanti abusivi stranieri irregolari vanno rimpatriati” (p. 45) –, fa immaginare anche pene generalmente più severe per chi non è regolare, unito a un atteggiamento persecutorio nei confronti dei luoghi di culto religioso, moschee in primis (p. 28). Altra chicca: asili nido gratis, ma per le famiglie italiane (p. 33).
È interessante notare, comunque, come ci si muova in un solco già abbastanza tracciato, senza nessuna particolare innovazione. Si continua col sistema dei centri di identificazione ed espulsione (CIE; vedi anche qui e qui) su base regionale, e si punta su procedure accelerate e/o di frontiera (tribunali in spiaggia?). Su questi punti nessun cenno, ovviamente, ai diritti dei migranti. Viva la coerenza, almeno.
4. La giustizia dello zio Sam
Stare a sottolineare i richiami al populismo trumpiano è forse superfluo. La Lega, d’altronde – che anche sulla giustizia fa spesso la parte del leone –, non ha mai negato la sua profonda ammirazione per il modello americano: chiacchiere e distintivo.
Il capitolo Giustizia si muove tra la retorica (neo-)fascista e quella a stelle e strisce: la difesa è sempre legittima – addio proporzionalità tra difesa e offesa (vedi qui) –, maggiore severità per i reati minorili – in base ai sani vecchi principi della disciplina facista –, i reati “odiosi” diventano quelli contro la proprietà privata: furti e rapine.
En passant, giusto due righe sulla mafia, ché senza pare brutto. Stavolta le parole sono 69, sette in meno del paragrafino sul Mezzogiorno di cui sopra. Giusto per curiosità: quanto è lunga la sezione Sport? 681 parole. Vuoi mettere? La CONI Servizi s.p.a. è molto più importante di camorra e ‘ndrangheta (non citate). Due a zero, palla al centro.
5. Riforme istituzionali: no grazie
In questi giorni di contratti e di piani indesiderabili, è utile ripetersi un mantra: abbiamo una Costituzione che ci protegge. Finché determinati valori rimarranno scritti nero su bianco nella Carta fondamentale, i danni saranno sempre limitati e limitabili. Per questo, però, bisogna alzare i livelli di guardia quando si accenna anche alle riforme costituzionali. Gli interventi cui si fa cenno sono di 3 tipi:
Ci sono proposte pericolose: la fine del vincolo di mandato e la rimozione del quorum referendario. La prima non farebbe che acuire il controllo verticistico e personalistico dei partiti, svilendo ancora essi e il ruolo del Parlamento (vedi qui). Paradossale, vista la storia del M5S. Anzi no, perfettamente comprensibile – e frutto di una campagna (questa sì) anti-politica che va avanti da tempo. La seconda proposta, invece, contribuirebbe a minare il concetto stesso di democrazia: rende possibile che una minoranza abroghi delle leggi dello Stato (vedi qui). Per la gioia del Partito Radicale (vedi qui).
Ci sono poi proposte politicamente non condivisibili: l’aumento dell’autonomia regionale e il sempre maggiore decentramento delle funzioni amministrative. Pessima notizia, ancora una volta, sul tema delle disuguaglianze territoriali (vedi qui). E ulteriore conferma – come se ce ne fosse il bisogno – di quanto scelleratamente sia stato gestito il referendum del 2016 (vedi qui e qui).
Ci sono, infine, proposte velleitarie, ma che puntano in direzioni per niente auspicabili: la rimozione dell’equilibrio di bilancio – in funzione anti-ciclica – e la prevalenza della Costituzione sul diritto UE. Entrambe sono velleitarie per due motivi: 1) l’equilibrio di bilancio è già al netto del ciclo, in altre parole non impedisce politiche espansive in tempi di recessione; 2) la prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale, invece, non è materia nazionale. È frutto di sentenze della Corte di Giustizia dell’UE (vedi qui), ed è parte integrante della partecipazione stessa all’Unione. Perché tutto ciò preoccupi è chiaro: l’equilibrio di bilancio in Costituzione è un’ottima garanzia contro i libri dei sogni fatti di spese senza coperture – proprio come il contratto M5S-Lega (fonte); il primato comunitario, invece… beh, è l’opposto del primato nazionale, ça va sans dire.
6. Una bomba per i conti pubblici
Il tema della sostenibilità finanziaria del contratto non è una questione di ragioneria, fatta per i palati raffinati, gli eurocrati, e i finanzieri. La strada giallo-verde tracciata finora – fatta di: flat tax, pensioni a quota 41 (vedi anche qui), reddito di cittadinanza, taglio delle accise, “rilancio” di Alitalia (ancora?), ecc. – porta dritto verso tanti risultati ingiusti e distruttivi per il Paese.
Banalmente, seguendo l’ordine di cui sopra, investiremmo risorse: per i più ricchi, per i più anziani, per chi sceglie di non lavorare (rifiutando fino a 3 proposte in 2 anni), per chi inquina usando l’auto (vedi qui), e per imprese che non riescono a stare sul mercato. Insomma, rischieremmo di trasformare in realtà – e in un colpo solo! – tutti i peggiori stereotipi sulla politica economica made in Italy. Non sta bene, su.
Sottolineo ancora: dilapidare risorse non è male perché ce lo dice Moscovici (cattivo!), ma perché quelle risorse è meglio – si legga “più equo e più efficiente”, il sogno di ogni economista – spenderle altrimenti: non in interessi sul debito, ma in investimenti produttivi (tra cui gli evergreen per i romanticoni: scuole e ospedali); non per i più ricchi, per i più poveri; non per chi la pensione ce l’ha, ma per chi non l’avrà; non per chi sceglie di non lavorare, ma per chi lavora quasi 6 mesi l’anno per pagare le tasse; non per le imprese al collasso, ma per far nascere nuove imprese, far prosperare quelle che hanno potenzialità, e salvaguardare chi purtroppo il lavoro lo perde.
7. Il reddito di cittadinanza
È bene precisare. Liquidare il reddito minimo condizionato come una misura a beneficio di chi “sceglie di non lavorare” è ingeneroso. Bollare il RdC come “assistenzialismo” è superficiale, e non porta frutti. Soprattutto, nell’economia contemporanea è sempre utile che continui il dibattito sul sostegno al reddito, visto come controaltare a possibili dinamiche esplosive nella concentrazione delle risorse produttive (vedi qui, ad esempio).
L’Italia, però, su questo ha già iniziato a muoversi, con il reddito d’inclusione (REI; vedi anche qui). Cha ha svariati vantaggi rispetto al RdC: è più facile da implementare, non disincentiva al lavoro, contempla progetti di inclusione sociale personalizzati, targettizza meglio le famiglie più povere. Alla luce di questo, forse ha più senso appiattire il RdC su chi “sceglie di non lavorare”, visto che di fatto gli unici potenziali beneficiari del RdC che non beneficiano anche del REI sono quelli che soddisfano questo requisito.
Che il RdC sia rimasto nel contratto-manifesto del (futuribile) Governo giallo-verde non sorprende, ma preoccupa. Per due motivi: 1) indica che la propaganda elettorale è ancora in campo, e che può ancora essere più potente delle considerazioni di efficienza ed efficacia – in sintesi: bisogna potenziare il REI, non trasformarlo in RdC per convenienza politica; 2) indica, ancora una volta, che siamo inclini a finanziare tutti – anche i più ricchi, anche chi non ha intenzione di lavorare.
8. Il neo-statalismo del Terzo Millennio
La questione del reddito di cittadinanza evidenzia anche un altro aspetto: nel mondo che disegnano M5S e Lega, una serie di soggetti perde d’importanza. Come fa notare qualcuno, scompare dal vocabolario e dall’orizzonte il mondo delle associazioni, delle organizzazioni no-profit, dell’impresa sociale. Scompare quel Terzo Settore che tanto conta per il welfare italiano e che gioca un ruolo fondamentale come “rete”, un concetto che una volta piaceva tanto al M5S.
Al suo posto, una visione contraddittoria sia del pubblico che del privato. Da una parte uno Stato minimo (perché senza risorse) ma autoritario, identitario e a tratti paternalista; dall’altra, un settore privato senza funzione sociale, che viene lasciato alla giungla della competizione o esplicitamente stigmatizzato (quest’ultima parte rimanda alla retorica grillina). Una società (ancor più) chiusa, debole, conflittuale.
9. Populismo piccolo borghese
Uno dei paragrafi iniziali (Tutela del risparmio, pp. 14-15) è un piccolo capolavoro di sintesi di cosa significa, oggi, parlare di populismo. Lo si fa spesso in maniera banale, ma è bene sottolineare che con questa espressione non si indica, come si vorrebbe far credere, chi sta genericamente “dalla parte del popolo” – e per questo non piacerebbe ai “poteri forti” –, bensì chi, pur di inseguire le tante e contraddittorie istanze della popolazione, è pronto a dire (e combattere per) tutto e il contrario di tutto (vedi qui).
Da una parte, infatti, si parla di “maggiore equità fiscale […] a favore di tutti i contribuenti: famiglie e imprese” (p. 20); dall’altra, invece, proprio nel capitolo sul risparmio, si continua nell’attacco al cd. bail-in (p. 14), come fatto durante la famosa querelle sulle banchette furbette di provincia. In sostanza, pur di sedurre il (piccolo?) risparmiatore, si chiede a tutti i contribuenti italiani di pagare per i suoi errori. Niente di diverso dal vecchio adagio: socializzare le perdite, privatizzare i profitti.
10. Ti ricordi di quando volevamo la rivoluzione?
Letto con gli occhi del grillino, immagino che in molti tratti il contratto abbia il gusto amaro della disillusione. Sulle famose cinque stelle – acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo – ci sono tante parole d’ordine vuote, belle intenzioni molto vaghe, niente di innovativo. La tecnologia, in particolare, da cardine della nuova società italiana si è trasformata in orpello.
Abbiamo visto che fine hanno fatto l’attenzione al Sud, alle mafie. Ma ci sono anche i timidi riferimenti alla corruzione e al conflitto d’interessi – si esulta perché si è riusciti a inserirli nel testo, chissà quante probabilità ci sono che si riesca a fare qualcosa. Una volta il M5S – anche poco tempo fa, si pensi alla pressione che il RdC ha messo nella creazione del REI – poteva vantare una spinta innovativa potente. Adesso, si fa a gara per mettersi al riparo anche dal solo poter discutere l’Alleanza Atlantica.
Lo spirito del Movimento 5 Stelle soccombe sotto le sirene del Governo. Il processo di istituzionalizzazione è quasi completo, sono rimasti solo i rischi per la collettività. Quale notizia è più cattiva di una rivoluzione che finisce ancora prima di cominciare?
Una prova d’inadeguatezza
Accanto a tanti esempi che dimostrano quanto di negativo ci sia in questo contratto dal punto di vista dei contenuti, svariati passaggi supportano l’idea che un’alleanza come quella giallo-verde sia del tutto inadatta a governare un Paese.
Il peccato originale
“Ma come, il punto n° 1 è Acqua pubblica, e l’ultimo punto è Università? Ma che priorità sono?”. Ecco, chi ha reagito così non ha colto il nocciolo della questione: i punti sono ordinati alfabeticamente. Perché? Si dirà: perché è un contratto, non un (crono-)programma; perché non c’era tempo per discutere anche le priorità; perché un ordinamento neutrale mette al riparo dalle critiche. Tutto vero.
Ma allora, quali sono le priorità? Come abbiamo visto, speriamo che la lunghezza dei paragrafi non sia indicativa – neanche mezza paginetta sulle pensioni. La sensazione, tuttavia, è che non ci sia alcuna volontà di prioritizzare. Arriverà il momento, ma l’illusione deve durare il più a lungo possibile. Stabilire delle priorità è politica, genera conflitti che i partiti populisti sopportano con difficoltà.
Si pensi alle cd. “pensioni di cittadinanza” (p. 35). È difficile essere contrari all’innalzamento delle pensioni minime, soprattutto se a cifre inferiori di quelle insostenibili citate a volte in passato. Eppure, che priorità ha questa misura rispetto – che so – alle iniziative per incentivare l’occupazione giovanile? Dove investiamo qualche miliardo, qui o lì?
Vedremo come andrà a finire. Per ora, il peccato più grande del contratto sta nella sua ignavia, neutrale ed equidistante.
Stavolta la Neolingua è la vostra
Come qualcuno ha sottolineato (anche qui), il contratto è costellato da un linguaggio e da contenuti molto spesso banali e retorici, nonché da formule contorte che cercano di nascondere l’assenza di contenuti su certi temi. Cultura, Ambiente, Turismo, Ministero per le disabilità (qui, invece, alcune critiche puntuali sul Diritto di famiglia). Tante parole, poca concretezza. Alcuni esempi:
“Chi non rispetta l’ambiente non rispetta sé stesso” (p. 10) – la fantasia al potere. “Se ben condotta e con l’ausilio di personale qualificato, la pratica motoria e sportiva assicura il miglioramento della qualità della vita” (p. 46) – scrivono dalla redazione di Studio Aperto. “Chi inquina paga” (p. 49) – però le accise sulla benzina…
“Per una risorsa non rinnovabile la percentuale sostenibile di impiego non può essere maggiore di quella con la quale è possibile rimpiazzarla con una risorsa rinnovabile (ad esempio: investire parte dei profitti per l’adozione di tecnologie produttive con risorse rinnovabili)” (p. 10) – come? può ripetere?
“Sotto il profilo del bilancio UE e in vista della programmazione settennale imminente occorre ridiscuterlo con l’obiettivo di renderlo coerente con il presente contratto di governo” (p. 54) – in che senso?
Tanta confusione
Tra le proposte, non mancano interventi ed enti già attuati o previsti in passato da altri governi. L’esempio più eclatante è quello dell’ormai famosa “Banca per gli investimenti”, nient’altro che una riedizione dell’ubiqua Cassa Depositi e Prestiti (vedi qui). Ma vale altrettanto, ad esempio, per la mappatura e bonifica delle strutture in amianto (p. 11), che Ministero dell’Ambiente e Regioni già portano avanti da un po’ (vedi qui e qui).
Dove contraddizioni, incompetenza e confusione pesano di più, però, è nelle parti su debito pubblico e Unione Europea. Non è ben chiaro, ad esempio, se il tavolo di lavoro giallo-verde sappia che differenza c’è tra debito e rapporto debito/PIL, né su quali argomenti si intenda puntare per ottenere l’ormai annoso scorporo degli investimenti pubblici produttivi dal calcolo del debito (non mi è mai stata chiara la ratio dell’idea; vedi qui). Sull’UE, poi, il populismo giallo-verde tocca vette di schizofrenia: più Europa dove fa comodo, meno Europa dove ci sono responsabilità. Chissà che ne pensano al Quirinale.
Le notizie buone
Finora il quadro è abbastanza nero. E, in effetti, il giudizio complessivo è molto negativo – ma non tutti la pensano così, a sinistra (complimenti!). Ci sono tuttavia anche buone notizie nel documento del “Governo di cambiamento” (sic!), ed è giusto terminare con una nota positiva.
Per fortuna, qualcosa è rimasto fuori
Innanzitutto, rispetto al pericolo di un’iniziativa M5S-Lega, e rispetto alle prime bozze, va notato che alcune proposte sono fortunatamente assenti.
Primo, il Comitato di Conciliazione non assomiglia più al Gran Consiglio del Fascismo, e mi sembra un’ottima notizia. Vanno quindi fatti i complimenti all’alleanza di Governo: bravi, avete inventato le riunioni di maggioranza.
Tra gli assenti, poi, figura anche il geniale taglio del debito da 250 miliardi, da richiedere alla BCE. Qui possiamo fare un gioco: chi avrà alzato il telefono per dire di ripensarci? Il Quirinale? Bagnai? Draghi stesso? Un qualche Centro di Salute Mentale? Rimarrà un mistero.
Da ultimo, un’assente di fatto: la scuola. Il punto 22, infatti, è del tutto vuoto di contenuti. Alcune critiche, ritocchi marginali a La Buona Scuola, niente di più. È un grande notizia: l’inazione, a volte, è la migliore benedizione.
Qualche punto (molto) interessante
Non è banale, tuttavia, che ci siano 3-4 punti molto rilevanti in cui il contratto sembra andare nella direzione giusta. In particolare in questi casi, ovviamente, valgono le grandi domande: si passerà dalle parole alle azioni? Che priorità hanno questi interventi? Non è dato sapere.
- Lavoro – occupa solo una pagina e mezza, ma non è un capitolo vuoto (anche se Pasquale Tridico la pensa diversamente – vedi qui). Ci sono infatti due proposte importanti, non prive di effetti: salario minimo e abolizione dell’apprendistato gratuito. Non è tutto quello che servirebbe, è poco, ma non è male;
- Università – si parla di incrementare le risorse per l’università e la ricerca; si parla di diritto allo studio e riduzione delle barriere all’ingresso; si propone l’istituzione di un’Agenzia Nazionale per la Ricerca, indipendente dal potere politico. Solo promesse? Speriamo proprio di no;
- Salute e servizi sociali – anche in quest’area, ci si propone di andare controcorrente: preservando la natura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale; reintegrando parte dei fondi e del personale tagliati nella sanità; prevedendo più fondi per disabilità e non-autosufficienza (tagliati recentemente).
Nulla di questo poteva esser dato per scontato.
Qualche spunto piacevole
Un’ultima serie di proposte, invece, viene solo accennata. Si tratta più che altro di slogan e propositi ma, visto il tono di gran parte del contratto, farci caso aiuta a risollevare il morale. Ancora una volta: niente assicura che facciano sul serio, niente garantisce che non facciano il contrario di quanto dichiarato. Ma, come si dice, a pensar male si fa peccato (anche se spesso si indovina, cit.).
In sintesi, è positivo che si metta in discussione la presenza italiana nelle missioni militari internazionali, che si parli (genericamente) di riforma della prescrizione e di certezza della pena, di misure contro il gioco d’azzardo, che si accenni comunque alla lotta alla corruzione. Persino la “web tax turistica” (p. 51) potrebbe essere un’idea interessante.
Gli accenni più piacevoli, però – come anticipato – sono quelli sull’Unione Europea. Confusionari e contraddittori, come detto, ma, ancora una volta, non banali. Si richiama esplicitamente al “rafforzamento della coesione economica e sociale e l’instaurazione di un’unione economica” (p. 53), all’affermazione di una “identità europea sulla scena internazionale” (p. 53), al rafforzamento del Parlamento Europeo (p. 54), a un “genuino intento di pace, fratellanza, cooperazione e solidarietà” (p. 54). Niente male, sulla carta. Abbiamo ancora il beneficio di pensare che forse, malgrado tutto, l’eurocrazia colpisce ancora.
È il populismo, bellezza. E tutto sommato, non è poi la fine del mondo.
[F.O.]
Featured image: Frida Kahlo,
Arbol de la esperanza, mantente firme (1946)