Perché l’istruzione

Credo ci siano principalmente tre motivi per cui è eccitante, oltre che necessario, occuparsi d’istruzione. Non mi riferisco alle motivazioni classiche, ormai trite e ritrite: la necessità di formare una coscienza critica, la conoscenza come strumento di libertà, indipendenza e autonomia, l’importanza per il progresso economico e sociale, il contributo in termini di uguaglianza. Motivazioni valide, certo, ma che non fanno la differenza, perché altrettante – e altrettanto importanti – potrebbero valere per altri campi – salute in primis. I nodi cruciali, per me, risiedono altrove.

1. L’umanesimo della conoscenza

Nella scuola, nell’università, nella ricerca, ciò che fa differenza è la componente umana. Sono le persone a fare l’ossatura del sistema dell’istruzione, perché tutto dipende da loro, dalla loro attività. La trasmissione e la formazione sistematica di conoscenza sono fenomeni umani, che caratterizzano la razza umana e che hanno l’umanità come cardine e fondamento. Anche perché, nell’istruzione, tutto il resto – il “capitale”: gli edifici, i testi, gli strumenti digitali, perfino i beni a servizio dell’apprendimento tecnico, laboratoriale, e della ricerca applicata – ha un significato meramente strumentale, ancor più che altrove. Le donne e gli uomini – di ogni età – sono al centro. Anche per questo parlare di “capitale umano” è una tentazione così forte, sebbene del tutto ingannevole.

Nella sanità, per continuare con il parallelo, non è lo stesso. Anche lì, naturalmente, la componente umana è fondamentale, centrale. Ma tutto ciò che è protezione e cura materiale – ancora una volta: gli edifici, le apparecchiature, i farmaci, ecc. – ha nella sanità un ruolo ben più rilevante di quanto ciò che è supporto e strumento materiale abbia nell’istruzione.

Nel famoso Giuramento della Pallacorda, Jean-Baptiste-Pierre Bevière scrisse, a nome dei rivoluzionari francesi: “partout où ses membres sont réunis, là est l’Assemblée nationale” (tr. “ovunque i suoi membri si riuniscano, lì è l’Assemblea Nazionale”). Parafrasandolo, possiamo dire: ovunque studenti e insegnanti si riuniscano, lì è la scuola.

2. Il fascino della complessità

Proprio perché la componente umana è così fondamentale, la questione dell’istruzione risulta singolarmente complessa. In ultima analisi, poiché estremamente complesso è trasmettere e formare nuova conoscenza. Ovvero costruire un sistema istituzionale capace: di abbattere tutte le barriere affinché la conoscenza circoli, di sfruttare e sviluppare al meglio le potenzialità di tutti, di garantire libertà, indipendenza e autonomia, di convincere le generazioni ad investire tempo ed energia nella continua acquisizione di conoscenza, e, da ultimo, di generare costantemente innovazione e cambiamento – riflettendo senza sosta sulla nuova conoscenza generata.

Anche in questo caso il parallelo istruzione/salute risulta utile. Sebbene molto nell’istruzione sia storicamente standardizzato – e sta in questo, forse, gran parte del problema oggi (vedi qui) – non c’è niente in essa che sia paragonabile al “trattamento” medico. Anche se esistono naturalmente tecniche e metodi che ci vengono in aiuto, non c’è farmaco o procedura che porti sempre con ragionevole (o misurabile) certezza al risultato – la trasmissione e la formazione della conoscenza. Non scegliamo semplicemente fra pillola rossa e pillola blu, verità od oblio.

Nel terzo capitolo della Genesi leggiamo: “la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi” (Gen. 3.6-7). Ecco, se ogni disvelamento fosse davvero così semplice, sarebbe tutto molto meno interessante.

3. Una battaglia politica

Il terzo motivo si lega nuovamente ai due punti già citati. Poiché l’istruzione è un fenomeno spiccatamente umano e singolarmente complesso, tendiamo a sottoporlo a meccanismi routinari e standardizzati. Umano diventa per noi “artificiale”, automatizzato come una linea di montaggio che sforna periodicamente nuovi esemplari. Parallelamente, si tenta di appiattire la complessità su un numero minimo di dimensioni, al fine di semplificare ogni sforzo. Ecco, il terzo motivo per cui occuparsi d’istruzione è unicamente stimolante risiede in questo: nella necessità di una continua lotta politica perché umanità e complessità vengano tenute assieme, al centro del sistema.

Ma cosa significa concretamente? Significa, prima di tutto, combattere affinché la scuola e l’università rimangano luoghi dell’uomo per l’uomo. Il che non vuol dire affatto, ad esempio, ostacolare la digitalizzazione, ma vuol dire piuttosto che al centro ci sono (tutti) i bisogni dell’uomo: sociali, economici, civili, individuali.

Vuol dire non dimenticare che per la scuola (e, in parte, per l’università) transita necessariamente tutta la società, e che quindi essa rimane il luogo principe in cui essa assume un’identità sia individuale che unitaria. Se ci chiedessimo: dove posso trovare, oggi, un’intera generazione? La risposta più semplice ed efficace sarebbe: a scuola. La scuola – assieme al voto e a pochi eventi nazional-popolari – è e rimane l’unica manifestazione davvero di massa del nostro tempo.

Vuol dire, in fin dei conti, dover combattere costantemente affinché l’istruzione rimanga sempre tra le priorità dell’agenda politica, poiché essa necessita in ogni momento di essere ripensata, riadattata, riformata. In alcuni casi questo può essere particolarmente difficile. Per due motivi, generalmente:

  1. Il bisogno di conoscenza è appunto un bisogno umano complesso, non fisiologico nella sua natura sistematica. Ovvero: tutti gli uomini e le donne hanno bisogno di conoscere, ma niente garantisce che lo si debba fare all’interno di un sistema dell’istruzione, che lo si debba fare seguendo certe strutture e categorie, e che lo si debba fare con la profondità che oggi esigiamo. Come a dire: se non so leggere o contare metto a rischio la mia esistenza e il mio benessere, ma se rinuncio allo studio della geometria – secondo i principi euclidei, il metodo scientifico, e i modelli di apprendimento collettivi – non muore mica nessuno. Ancora una volta, il sistema della salute – per definizione – è strutturalmente differente, e per questo ha vita (relativamente molto) più facile nel “coagulare” interessi politici. “Nessuno tocchi la sanità” è uno slogan più potente di “nessuno tocchi la scuola”;
  2. In qualche caso, soprattutto in Europa, l’istruzione ha anche poco peso economico, in termini di “industria”. Banalmente: se pubblico e privato spendono relativamente poco per l’istruzione, sarà più difficile attrarre la loro attenzione, che sarà invece rivolta piuttosto al debito pubblico, all’impresa, alle infrastrutture, all’energia, alle case, ai trasporti. O, ancora una volta, alla salute. Per dare qualche numero: nel 2013, i Paesi OCSE hanno speso – tra pubblico e privati – in media poco più del 5% del loro PIL per l’istruzione* (4% in Italia, poco più del 6% negli Stati Uniti); nello stesso anno, i Paesi OCSE hanno invece speso quasi il 9% del reddito nazionale per la salute (allineata alla media l’Italia, quasi il 17% invece gli Stati Uniti).

Farsi portavoce dell’importanza di scuola, università e ricerca – in nome dei valori “triti e ritriti” a cui accennavo inizialmente – diventa duro, se bisogni primari e redditi remano un po’ contro.

Eppure. Eppure due convinzioni ci animano: che l’umanità e la complessità del sistema, e la sfida politica che esso rappresenta, siano uno stimolo impareggiabile; e che, ancora una volta, quei moventi retorici, esausti, frustrati, ormai scontati che caratterizzano la spinta a conoscere, siano l’impalcatura più importante, che qualifica le nostre società come tali e da cui esse traggono la loro stessa vitalità.


[F.O.]
Featured image: Jacques-Louis David,
Le Serment du Jeu de paume (1791-92)

*Non considerando l’istruzione pre-primaria, la cui spesa comunque non giunge a colmare il gap.

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