Giovedì 13 ottobre, ore 15.52. Re Rama IX di Tailandia esala il suo ultimo respiro al Siriraj Hospital di Bangkok, mettendo fine al regno più duraturo del pianeta. La scomparsa del Re getta il Paese nella disperazione: i sudditi piangono la Grande Guida per le strade, preparandosi a un anno di lutto e preghiere in memoria del Padre della Nazione. Gli succederà lo spericolato figlio Maha, ora sotto la protezione della giunta militare che guida il Paese.
Nell’instante del trapasso di Sua Maestà Bhumibol Adulyadej, 44 Paesi nel mondo – circa l’8% della popolazione mondiale – sono guidati da un monarca.
Le monarchie sono concentrate principalmente in quattro aree del globo: Europa (quadrante nord-ovest), America Centrale (Caraibi), le isole del Sud-Est Asiatico e dell’Oceania, e il Medio Oriente.
Il gruppo più folto è quello degli Stati Europei, 12: sette grandi nazioni – Regno Unito, Spagna, Belgio, Danimarca, Norvegia, Svezia, e Olanda – e cinque microstati – Lussemburgo, Andorra, Liechtenstein, Principato di Monaco, e Città del Vaticano.
La maggior parte delle monarchie contemporanee – Tailandia inclusa – sono di tipo costituzionale, e in molti casi il ruolo del Capo dello Stato è solo cerimoniale, con meno poteri di un Presidente della Repubblica (di tipo parlamentare). Inoltre, molti di questi Paesi non sono considerati delle entità di rilievo a livello internazionale. Perciò per molti il superamento della forma monarchica, eredità del passato, non è più una priorità.
I sovrani registrano picchi di popolarità, e non c’è quasi più traccia della vecchia intolleranza per quello che la monarchia ha sempre rappresentato. Le famiglie reali che sono riuscite a resistere le ondate anti-monarchiche moderne – nel XIX secolo, alla fine delle guerre mondiali, e durante la decolonizzazione – sono ormai generalmente viste come un elemento di folklore, simbolo di una tradizione prestigiosa.
I partiti repubblicani sono assenti o in crisi. In Spagna, il dibattito sulla monarchia è ancora vivo, ma i repubblicani sono una minoranza, le loro prospettive sono fragili, e la questione autonomista è una priorità schiacciante rispetto a quella repubblicana (vedi qui). L’Australia, dopo il referendum fallito nel 1999, ha ipotizzato di trasformarsi in repubblica alla fine del regno di Elisabetta II, ma il consenso di Sua Maestà la Regina è ancora alto. Nel Regno Unito e in Canada i partiti progressisti e liberali sottolineano con enfasi che mettere fine alla monarchia non è la loro battaglia. Altrove, questa battaglia non esiste o è lasciata ad associazioni che hanno un peso politico marginale.
Tuttavia, le monarchie sono ancora un problema (ma non tutti la pensano così – vedi qui). Specialmente per l’Europa, e per tutti quei Paesi per i quali la democrazia e l’uguaglianza sono valori fondamentali. Anche se il sovrano contemporaneo non è più un monarca assoluto.
La monarchia è oggi quello che è sempre stata: l’immagine di una società stratificata, divisa in caste. Meno rilevanti di ieri (?), ma ancora un freno alla mobilità sociale. Le famiglie reali e le vecchie e nuove nobiltà (loro corollario) in cima alla piramide sociale contraddicono l’ipotesi di uguaglianza di fatto alla base delle Costituzioni e della democrazia moderna.
Il monarca, inoltre, è il custode dell’unità nazionale. Con almeno due conseguenze. Da una parte, il nazionalismo: “noi”, la Nazione riunita sotto il Re e la Bandiera, siamo differenti da “loro”, gli stranieri. E il potere non può essere condiviso con gli stranieri. Il sovrano è, per definizione, sopra chiunque. Può stare inter pares solo come primus.
La seconda conseguenza è più sottile. Il re funge da garante nei conflitti, è il mediatore delle divisioni interne. La presenza del re, espressione dell’equilibrio fra diversi potentati nazionali, è un’alternativa al processo democratico, che punta a risolvere i conflitti per via di un dibattito politico aperto. Quella monarchica è un’unità distorta, che mira a tenere buone le parti con una sintesi personale (il re) piuttosto che con una profonda sintesi politica, sociale, economica, culturale. Dietro il monarca si celano le fratture ancora aperte della nazione (Tailandia docet). Questo spiega perché i tre Paesi europei con i movimenti separatisti più forti – Spagna, Belgio e Regno Uniti – sono monarchie.
La questione non è solo teorica, filosofica. Prima di tutto perché, a ben vedere, il peso politico dei monarchi non è zero. Il re è un centro di potere – ovvero, una figura la cui posizione è rilevante, viene tenuta in particolare considerazione – in (o collegata a) entità nazionali non così secondarie. Sia in termini di opinione pubblica che, ed è forse più importante, in termini diplomatici.
Il leader religioso più potente della Terra (il Papa) è un monarca (assoluto, sebbene eletto). Un imperatore regna sulla quarta economia del mondo (il Giappone). La Regina Elisabetta II regna, per grazia divina, sui 16 Paesi del Commonwealth, e la sua opinione non passa inosservata. Tre Paesi scandinavi, la terra del benessere e della felicità, sono guidati da un monarca. Persino il Presidente della Repubblica francese, simbolo supremo della lotta contro la monarchia, condivide il titolo di co-Principe di Andorra.
Circa il 17% del PIL mondiale proviene da delle monarchie. Un terzo del petrolio del globo è prodotto in Paesi guidati da un sovrano, che contano per il 42% delle riserve di oro nero. Vecchie e nuove aristocrazie salvaguardano questa ricchezza e la sua distribuzione, influenzando la concentrazione e le dinamiche del potere nell’industria energetica.
Lo stesso vale per le tasse, da sempre una priorità per le corone. Sedici delle 44 monarchie figurano nelle liste dei centri finanziari offshore. Svariati possedimenti oltremare di due illustri monarchie – Regno Unito e Olanda – sono paradisi fiscali. I reami di Lussemburgo, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti sono tra i 10 Paesi che meglio proteggono il segreto bancario, fornendo così eccellenti garanzie a chi vuole nascondere i propri denari. Molti di questi Paesi – soprattutto quelli arabi, ma anche Bahamas, Brunei e Andorra – hanno aliquote fiscali sul reddito da sogno, che oscillano fra lo 0 e il 10% sia per le imprese che per gli individui. Ancora una volta: il re e l’aristocrazia attorno a lui sono molto portati ad ergersi a difesa delle disuguaglianze. Più dei parlamenti repubblicani, probabilmente.
Nazionalismo rampante, ostacolo alla creazione e al funzionamento delle federazioni di Stati. Democrazie zoppe, inefficienti e inefficaci, minate dalle disuguaglianze. Concentrazioni di potere, specialmente nel settore energetico. Paradisi fiscali e ricchezze occulte. Se crediamo che questi siano alcuni dei maggiori mali contemporanei, le monarchie sono ancora un problema. Esse non costituiscono il loro elemento fondante, forse, ma sono uno dei fattori strutturali che amplificano queste patologie.
Superare la monarchia non sarebbe un passo decisivo, probabilmente, ma sarebbe un passo avanti, uno necessario. Per il mondo e in particolare per l’Europa, stretta nella contraddizione di democrazie avanzate e regimi stantii. L’Europa dei popoli può nascere solo dopo aver definitivamente seppellito l’Europa delle nazioni e dei sovrani che ancora regnano su di essa.
[F.O.]
Featured image: Conor Harrington,
Modern Monarchy (2012)