Un giorno andò a prendersi una birra, solo.
Non si può dire che accada spesso, no di certo, ma quella volta – unica nella storia? – accadde di sicuro.
Sebbene vivesse costantemente circondato dai propri amici e compagni, dai propri simili, nel bisogno di una birra (o forse più d’una) si sarebbe trovato sempre inevitabilmente solo.
Finché fosse vissuto, certo. Non molto ancora, purtroppo per lui. Non che gli altri fossero cattivi, sia ben chiaro, ché così disegnati passano per crudeli. E nemmeno lui aveva fatto niente di male. Solo preferiscono mantenere le distanze, tutto qua. Per il bene di tutti. È la loro natura, no? Certo, sono distanze variabili: chi si accoppia facilmente, chi è troppo lontano per capirsi, chi da lontano dialoga, chi vive separato solo da un ponticello.
Lui però era molto in difficoltà. Non ricordava nemmeno che giorno fosse, se un banale mercoledì d’estate o una fredda domenica invernale, pensate un po’. Ecco, di sicuro non era un giorno importante, figurarsi. Sarebbe stato circondato da persone in festa, annunci, decori, grandi gesti. Sapeva che non era un giorno importante, tipo Natale, la Festa Nazionale o il Solstizio. Poteva essere – che so? – un 16 febbraio o un 18 novembre, al massimo. Di sicuro era un giorno ordinario, triste, di quelli che richiedono l’intervento di un qualche liquido magico.
Tutto era cominciato alcune ore prima, al parco. Ore che per lui e quelli come lui sono decenni, soprattutto quando arriva la sera. Colpa di un vecchietto, il classico pensionato saggio e pacato, maestro di vita se preso in piccole dosi, rompipalle altrimenti. Lesse il suo nome sul giornale – c’è sempre il loro nome sul giornale – ma, invece di passare subito oltre come fanno tutti, il signore si soffermò a riflettere, ché a lui il tempo non manca. “Certo, che scemi!”, esordì con un mezzo ghigno. “Tutti credono che i giorni ritornino, che sia un ciclo. Il 19 gennaio è appena passato, sì, ma – tranquillo! – fra 365 giorni, massimo 366, ce n’è un altro! E invece no, non torna più. Festeggiano anniversari, compleanni, ricorrenze, ma niente ricorre! Tutto è unico, va via per non tornare. Niente repliche. Noi anziani lo sappiamo, lo sappiamo bene, ma loro? L’hanno capito? Lo capiscono gli scolari, mentre scrivono la data sul quaderno, che quell’operazione così rituale e meccanica è in realtà la più irripetibile che compiranno in tutta la giornata? Tre numeretti insulsi, ma la loro combinazione è più rara del codice di una cassaforte”. E per fortuna si arrestò, altri 5 secondi di filosofia e sarebbe sfociato nella rottura di palle, mandando in fumo quanto di buono fatto fin lì.
Pensava agli umani suoi simili, il vecchietto, mentre lui pensava ai suoi. Giorni, pagine di un calendario. Scorrono uno dopo l’altro, senza soluzione di continuità e forse senza un inizio. Creati dagli uomini per essere incastrati per sempre nelle loro strutture, figlie dell’illusione che il minimo comune basti per fissare uno schema rigido e inflessibile su cui tutti possono basare la propria vita. Agende, promemoria, avvisi, scadenze, programmi, progetti, termini, prenotazioni.
Eppure ciò che lo angustiava, in quel momento, non era tanto la realizzazione di questo. Un giorno vive poche ore, impara presto a non stupirsi di ciò che apprende e a concentrarsi sull’immagazzinare il più che può. Non lo faceva adirare né la scioccante brevità della sua vita né l’inflazione nell’uso dei nomi suoi e dei suoi fratelli, così al centro eppure così al margine. A torturarlo era la considerazione della sua natura particolare, del destino della sua sfortunata sottocategoria. Giorni ordinari, senza infamia e senza lode, grigi, che passano nell’attesa di un indefinito altro. Sarebbe passato alla storia come il 27° anniversario dell’indipendenza del Gambia, il 94° dell’incidente in aliante di un famoso nobile inglese e il 376° della nascita di un amanuense polacco, divenuto santo qualche anno fa grazie a un compromesso politico-ecclesiastico. Niente di più. Niente libri di storia, niente festoni, niente antipaticissimi hashtag. Solo uno strappo, fra qualche ora, e via la sua pagina, avanti un altro. Il nuovo, il futuro.
Uscì dal locale più che brillo, pensando agli altri. L’alcool gli diede una bella mano, strappandogli due risatine a mezza bocca. La prima, forse un pizzico cattiva, lo consolò rivolgendogli la mente a chi stava persino peggio, sfortunato tra gli sfortunati: i giorni già passati, ormai lontani e irrecuperabili, e i giorni prefestivi, che tutti non vedono l’ora finiscano senza accorgersi della loro inarrivabile bellezza. Ogni tanto serve guardarsi indietro, fidatevi.
La seconda, invece, lo sorprese mentre una figura conosciuta si avvicinava per entrare nel locale, dopo averlo notato. Mentre con gli occhi cercava di sfuggire al solito imbarazzo della scena, supplicò che il caso non gli propinasse, tra tutte, la peggiore delle frasi fatte. Il conoscente lo superò, distratto, senza farsi mancare qualche parola e una fastidiosissima pacca sulla spalla. “Ehi ciao! Come stai?”, chiese senza attendere risposta ma notando qualcosa. “Stai su! Non ci pensare! Domani è un altro giorno!”.
Ecco, appunto.
***
E ora ti chiedo, mio lettore: chi è il protagonista?
Se lo hai capito, molto bene.
Se non lo hai capito o sei incerto, rileggi o chiedimi un indizio, potresti accedere a un livello superiore.
[F.O]